Quanto siamo disposti a cambiare?
Vita da Nomade #4 / Viaggiamo per vivere un cambiamento ma finiamo per infliggere un cambiamento agli altri. Una prospettiva brutale ma necessaria per vivere il viaggio in modo più consapevole.
Ehilà, eccoci col nuovo numero di Vita da Nomade.
Questo mese:
Un articolo provocatorio che solleva domande importanti sul ruolo del viaggio nella nostra vita e sulla responsabilità dei viaggiatori occidentali nei confronti dei cambiamenti interiori e dei luoghi. È il pippone lungo da leggere!
Gli ultimi 2.750 km tra Bolivia, Cile e Argentina.
L’esperienza del carnevale di Oruro con un reportage fotografico fatto scavalcando le transenne ed evitando la polizia.
Infine, il solito report mensile sulle mie spese.
Spero che questo numero vi intrighi e vi ispiri tanto quanto è stato stimolante per me prepararlo. Buona lettura!
“Mi piace viaggiare”
provocazioni • trasformazioni
"Mi piace viaggiare.” È la dichiarazione meno informativa che le persone sono inclini a fare su loro stesse. Perché a tutti piace viaggiare, o almeno così dicono.
Oggi voglio scavare più a fondo su questo argomento, prendendo spunto da un articolo provocatorio intitolato The Case Against Travel, il cui sottotitolo è: "Il viaggio ci trasforma nella peggiore versione di noi stessi, convincendoci del contrario". Sotto al post, una sfilza di commenti negativi di persone che si sentono toccate personalmente nella loro esperienza di viaggio “autentica”.
Come viaggiatore e nomade, ho deciso di confrontarmi con gli argomenti dell'autrice dell’articolo, Agnes Callard, perché ammiro coloro che sfidano i miei limiti e mi costringono a riflettere, anche se inizialmente mi sento provocato.
È solo oltre i confini della nostra comfort zone, dove le cose diventano scomode e irregolari, che possiamo davvero espandere le nostre prospettive e superare i nostri schemi precostituiti.
Agnes Callard cerca di scuoterci, proponendo un punto di vista radicalmente diverso da quello promosso nei media occidentali riguardo il viaggio: "Solo una povertà estrema dell'immaginazione giustifica il bisogno di spostarsi per sentirsi vivi." Questa citazione di Pessoa, tratta dal "Libro dell'inquietudine", ci invita a considerare il viaggio sotto una nuova luce.
La Callard ci fa notare che “turismo” è come chiamiamo i viaggi che fanno gli altri, mentre nelle nostre città evitiamo le esperienze cosiddette turistiche. Questo mi riporta a una conversazione avuta tempo fa con un motociclista canadese che stava attraversando le Americhe. Si offese quando gli feci notare che la distinzione tra turista e viaggiatore è principalmente un concetto occidentale. Questa distinzione ha senso per noi, ma può significare poco per coloro che vivono nelle culture non occidentali, dove il concetto stesso di viaggio è molto diverso.
Ho iniziato a convincermene mentre viaggiavo, rendendomi conto che l’affannosa ricerca dell'esperienza "autentica" spesso si traduce nell'incontro con gli stereotipi romantici che abbiamo di un luogo. In breve, "autentico" diventa sinonimo di "stereotipico".
Questa prospettiva critica ci costringe a riflettere su ciò che realmente cerchiamo nei nostri viaggi e su come possiamo andare oltre le semplici superficialità per apprezzare appieno il mondo che ci circonda.
Consideriamo alcuni esempi.
Ho osservato i membri della tribù Wiwa nelle montagne della Colombia scrollare Facebook sui loro smartphone mentre indossavano le loro tuniche bianche, e i bambini delle comunità della Parroquia Tarqui giocare nel fiume Puyo seminudi, ma poi avvicinarsi ai turisti per rubare loro gli snack dei supermercati, molto più dolci e saporiti dei loro cibi tradizionali. Come dovremmo etichettare queste esperienze?
Se vogliamo essere onesti, tutto ciò che accade in un luogo è autentico, non solo gli aspetti romantici. Scoprire che le foto con le donne dai vestiti tradizionali colorati e la frutta in testa che vediamo sui social sono la versione sudamericana dei nostri gladiatori al Colosseo, non le rende né meno né più autentiche. Accettare che siano lì per colmare la sete di foto da pubblicare da parte dei turisti, è utile a comprendere uno spaccato del paese.
D'altro canto, sarebbe come se qualcuno venisse in Italia e pretendesse di trovarci tutti pizza e mandolino, per considerare la propria esperienza più autentica.
Provate a spiegare a un contadino peruviano che non siete turisti, ma viaggiatori, perché vi interessa incontrare le persone locali o perché non volete spendere il doppio per alloggiare in hotel per stranieri: davvero pensate che lui capisca la differenza? Un piccolo segreto: molti alojamentos, hotel familiari, in Sud America non hanno account su Booking perché i proprietari non vogliono avere a che fare con gli stranieri che si aspettano prese accanto al letto, doccia calda e prenotazioni online con carte di credito e cancellazione gratuita.
Recentemente, ho avuto vari problemi a prelevare denaro in Argentina a causa dell'instabilità economica che crea lunghe code agli ATM. Mentre aspettavo in fila per mezz'ora, ho realizzato che quella sì era un'esperienza "autentica" e che essere infastiditi e annoiati mi rendeva solo l’ennesimo turista, mentre le persone intorno a me facevano la fila con pazienza, come se fosse la cosa più normale del mondo. Per loro lo era.
Potremmo allora sostenere che accettando la realtà per come è ed evitando le esperienze turistiche evidenti, possiamo finalmente connetterci con i luoghi che visitiamo. Tuttavia, credo che anche questa visione abbia i suoi limiti. Ho capito che vivere un anno in un nuovo continente non ti fornisce necessariamente la comprensione che ti aspetti. Al massimo, ti aiuta a sfumare alcuni stereotipi, ma normalizza principalmente le situazioni.
Cosa manca dunque ai nostri viaggi?
Tornando all'articolo, l'autrice scrive che “Una vacanza non è come immigrare in un paese straniero, o iscriversi all'università, o iniziare un nuovo lavoro, o innamorarsi. [...] Ci imbarchiamo in quei progetti con l'ansia di chi entra in un tunnel senza sapere chi sarà quando ne uscirà. Il viaggiatore parte sicuro che tornerà con gli stessi interessi di base, le stesse convinzioni politiche e le stesse disposizioni abitative."
Oggi, di fatto, viaggiare significa conoscere in anticipo ciò che andrai a vedere, e di conseguenza essere influenzato dagli stereotipi. È praticamente impossibile evitare di guardare su Google Maps o sulle guide turistiche le foto dei luoghi prima di visitarli. Chi spenderebbe i propri soldi per andare in un posto di cui non sa nulla, rischiando che non ci sia nulla da vedere, nulla da raccontare, nulla da fotografare?
Posso portare l'esempio di Machu Picchu: prima di arrivare, hai già in mente la foto perfetta, scattata dai migliori fotografi, nel giorno e all'ora migliori. Magari hai anche visto un video con un drone prodotto da uno studio professionale. Ma quando arrivi, al massimo il paesaggio assomiglia alla foto, mentre nel peggiore dei casi è coperto dalle nuvole e non vedi nulla. È il paradosso del viaggio nell'era di Internet. In tutti i luoghi turistici che ho visitato, è diventato comune fare una tappa nello "spot Instagram", che coincide con il punto più fotografato, dove i gruppi di turisti vogliono rifare la stessa foto che hanno visto online, e la rifaranno ma con una qualità peggiore.
La parte dell'articolo che mi ha colpito di più è la citazione dal libro "Hosts and Guests: The Anthropology of Tourism", dove si sottolinea che i turisti sono meno propensi a prendere in prestito dai loro ospiti rispetto a quanto gli ospiti prendono in prestito da loro, innescando così una catena di cambiamenti nella comunità ospitante. Dunque, viaggiamo per vivere un cambiamento ma finiamo per infliggere un cambiamento agli altri. Questa prospettiva è brutale. Basti pensare ai menù dei ristoranti dei luoghi che visitiamo, adattati ai gusti dei turisti. O, per rendere l'esempio più concreto, basti pensare ai ristoranti in Italia che servono fettuccine Alfredo, una pietanza inesistente in Italia, mentre i turisti americani sorseggiano un cappuccino postando foto con l'hashtag #ladolcevita.
Ecco, questo forse è il punto da indagare.
Voglio scavare a fondo e interrogarci: fino a che punto siamo disposti a cambiare? A quali convinzioni siamo disposti a rinunciare? E come possiamo accogliere visioni che, al momento della partenza, sembravano impossibili?
In questa prospettiva più profonda, la distinzione tra turista e viaggiatore che ho menzionato all'inizio diventa chiaramente una valutazione soggettiva. Il turista è colui che non torna cambiato, che non desidera cambiare, mentre il viaggiatore è colui che si mette in discussione attraverso il viaggio stesso. Il viaggio per quest'ultimo è quindi principalmente un viaggio interiore.
Tuttavia, è importante riconoscere il valore dell'intenzione del turista: non c'è nulla di sbagliato, in teoria, nel desiderare semplicemente di rilassarsi, divertirsi e visitare luoghi belli ed esotici visti su una guida o un documentario. Dobbiamo però essere consapevoli della trasformazione che applichiamo involontariamente ad ogni luogo, semplicemente essendoci presenti.
Ecco emergere il punto cruciale.
La consapevolezza sull’intenzione dietro il nostro viaggio smantella l'aura sacra che attribuiamo al viaggio stesso, e riporta su di noi la responsabilità dei nostri cambiamenti interiori e dei cambiamenti che apportiamo ai luoghi che visitiamo.
La domanda successiva a questo punto è: c’è un valore intrinseco nello spostarsi da un luogo all’altro oppure è nullo come suggerisce Pessoa?
Non posso offrire una risposta definitiva, ma posso condividere le sfumature dei miei dubbi.
In generale, ritengo che in un viaggio breve, il semplice atto di spostarsi ci allontani dalla nostra routine quotidiana e ci permetta almeno di intravedere un barlume di cambiamento. È come se attraverso la scomodità del viaggio scuotessimo leggermente le fondamenta della nostra esistenza, rivelando una piccola finestra di opportunità. Tuttavia, è importante notare che questa scossa interiore è breve: una volta tornati a casa, se non agiamo immediatamente per implementare uno dei cambiamenti emersi durante il viaggio nella nostra routine quotidiana, l'effetto della scossa svanisce e ritorniamo alla nostra normalità.
Personalmente, ho sempre avuto una forte propensione al movimento e un desiderio ardente di poter dichiarare di essere un viaggiatore, di aver visitato un certo numero di luoghi lontani e di aver visto abbastanza luoghi da cartolina. Viaggiando a lungo, ho scoperto che questa spinta al movimento e il desiderio di dimostrare non portano automaticamente a una trasformazione interiore. Uno dei motivi per cui non mi identifico con la figura dei "digital nomad" è forse perché mi sembra che, viaggiando costantemente, essi vivano in un alternarsi di non-luoghi.
Ho dovuto aspettare di dimostrare a me stesso che l'azione di muoversi, da sola, non porta necessariamente a una trasformazione e, solo adesso, dopo aver soddisfatto il desiderio di muovermi e di dimostrare, sto affrontando le vere sfide interiori che stanno emergendo.
Per esempio, ho notato una maggiore sensibilità ai ritmi alienanti delle città, che ora mi scuotono e mi spaventano più di prima, e su cui dovrò confrontarmi quando tornerò in Europa. Ho notato una diversa percezione del cibo, rimanendo sorpreso dall'incredibile varietà di prodotti disponibili nei grandi supermercati rispetto alle zone rurali; un'abbondanza che, paradossalmente, mi appaga e mi delude allo stesso tempo. Ho constatato che una serie di abitudini, come l'ascolto di podcast, show e musica, mi legano all'Italia in maniera più forte di quanto avessi mai immaginato.
Queste nuove prospettive sul viaggio non annullano la mia voglia di esplorare il mondo, ma mi spingono a riconsiderarne certi aspetti. Ad esempio, se il mio attuale viaggio dal nord al sud del Sud America era motivato principalmente dal desiderio di muoversi e dalla curiosità di scoprire cosa avrei incontrato lungo il cammino, i prossimi viaggi potrebbero essere guidati da sensazioni ed esperienze interiori.
Riflettendo sull’articolo della Callard e sulla mia esperienza personale, mi rendo conto di aver chiamato questa newsletter "Vita da Nomade", ponendo l'accento su uno stile di vita piuttosto che sul viaggio in sé. In altre parole, ho scoperto che il viaggio probabilmente era già molto più un mezzo che un fine, e ne sto diventando sempre più consapevole.
Potrei spostare ora il focus su cosa significhi adottare uno stile di vita nomade e sul significato della parola "nomade" slegato dal concetto di movimento fisico, ma come concetto mentale. Tuttavia, questo aprirebbe un nuovo tema, troppo ampio, che forse affronterò nel prossimo numero di questa newsletter.
Lascio a voi le conclusioni di questi ragionamenti. Preferisco lasciarvi delle domande piuttosto che fornirvi risposte soggettive, incomplete o irrealistiche. Personalmente, sono oggi più curioso che mai di confrontarmi con il me stesso del passato, di terminare il mio viaggio per il Sud America guardandomi allo specchio e chiedendo ai miei amici come mi vedono. Non per valutarmi, ma per capire meglio me stesso.
Spero che possiate arricchire i vostri prossimi viaggi con queste nuove prospettive, o magari che possiate liberarvi dallo stereotipo e affermare senza timore che no "non mi piace viaggiare".
Scusa, non mi piace viaggiare
La pancia della nave ci può digerire
Il treno serve a farti impazzire
L'aereo non è come volare, no
La moto che fa troppo rumore e
La macchina, lo sai, non mi piace guidare
Al pullman preferisco l'inferno
In bicicletta è freddo d’inverno
Rimango qui("Non mi piace viaggiare", Giorgio Poi)
Dove sono
aggiornamenti · argentina
Mese: Febbraio 2024
Paesi: Bolivia, Cile, Argentina
Km percorsi: 2.750 km
Città: Cochabamba → Oruro → Uyuni → San Pedro de Atacama → Salta → Purmamarca → Tilcara → Humahuaca → Iruya → Cafayate.
Bus: 12
Frontiere: 2
Febbraio è stato un mese intenso di viaggi, durante il quale ho percorso ben 2.750 km attraversando due frontiere. In Bolivia, a Oruro, ho partecipato al più grande carnevale del Sud America dopo quello di Rio, prima di dirigermi a Uyuni per attraversare il lago salato più grande del mondo. Successivamente, ho attraversato il confine verso il Cile per esplorare i paesaggi suggestivi del Deserto di Atacama, il più arido del mondo. Da lì mi sono diretto verso la provincia di Jujuy, nel nord-ovest dell’Argentina, dove ho visitato catene montuose dalle sfumature di diversi colori, il risultato della stratificazione geologica, e ho scoperto piccoli villaggi pittoreschi nascosti nelle valli remote del nord.
Attualmente, mi trovo a Cafayate, una rinomata regione vinicola circondata da canyon e formazioni rocciose uniche, scolpite da agenti naturali nel corso delle ere geologiche.
Potete seguire il mio viaggio in tempo reale attraverso le stories di Instagram oppure seguire il mio percorso su Polarsteps.
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Oso, oso, oso!
tradizioni · cultura
Quest'anno ho avuto l’occasione di partecipare al gigantesco Carnevale di Oruro, un'esperienza unica nella scoperta della cultura boliviana.
Il Carnevale di Oruro è principalmente una sfilata che attraversa il centro della città, dove la via principale viene trasformata in un'arena con 400.000 spettatori provenienti da tutto il Sud America. Lungo tutto il percorso, vengono costruite gradinate per ospitare i partecipanti che si acquistano il proprio posto numerato a prezzi che variano dai 20€ ai 50€ per tre giorni. Le persone non usano travestirsi come nei carnevali europei ma si armano di spray, birre e alcolici vari, ballando e cantando mentre assistono alla sfilata.
Per quanto riguarda i performer, si assiste a una vasta varietà di gruppi di sfilata, che includono complessi folkloristici, bande musicali, gruppi di ballerini, e altro ancora. In genere, si stima che partecipino oltre 50 gruppi ufficiali alla sfilata principale, con migliaia di performer che sfoggiano i loro costumi e le loro abilità lungo il percorso.
Il travestimento più amato è senza dubbio quello dell'orso, salutato da un coro unisono di "oso, oso, oso" che risuona tra la folla.
Durante il passaggio dei gruppi di ballerine, ammirate per la loro bellezza e grazia, il pubblico si anima urlando "beso, beso, beso". Ogni tanto, una delle ballerine lancia un bacio che fa impazzire il pubblico, celebrando con brindisi e festeggiamenti.
Se volete vedere di più di questa incredibile festa, date un occhio al mio reportage fotografico. Vi chiedo infine se conoscete magazine interessati a cui inviare reportage fotografici, scrivetemi nei commenti o rispondete a questa email!
☞ Sfoglia il reportage
Contabilità
finanza • trasparenza
Okay, rieccoci a parlare di soldi. Ecco il resoconto delle mie spese del mese di Febbraio 2024.
Spese Totali: €915,27.
Viaggiare tra Bolivia, Cile e Argentina ha portato a una variazione nei miei costi giornalieri, soprattutto nel passaggio tra l’economica Bolivia e gli altri due paesi. Nonostante questo, sono riuscito a mantenere le mie spese all'interno di un budget ragionevole.
Per darti un'idea dei costi:
🏠 Alloggio: In Bolivia, ho speso in media €7-9 a notte, mentre in Cile e Argentina il costo è aumentato leggermente, arrivando a €10-12 per notte.
🍽️ Pasti: Mentre un menù del dia in Bolivia poteva costare intorno i 2€, in Cile e Argentina è praticamente impossibile spendere meno di 5€.
🚗 Trasporti: I costi dei trasporti sono variati notevolmente in base alla distanza e alla modalità di viaggio. Ad esempio, ho speso circa €10 per un viaggio in autobus notturno tra due città in Bolivia, mentre il costo per attraversare la frontiera da San Pedro de Atacama a Salta è stato ben €58.
🎉 Tour: Questo mese ho investito abbastanza in attività ed escursioni, dedicando circa 150€ per un tour di tre giorni verso il Salar de Uyuni, e circa 30€ per un tour a San Pedro de Atacama.
Infine, è importante sottolineare che la gestione finanziaria in Argentina è più complicata, per via dell'inflazione alla stelle che rende complicato per i viaggiatori ottenere contanti.
Per maggiori dettagli e una panoramica completa delle mie spese, ti invito a leggere l'articolo dedicato sul mio blog.
Io sono partita perché l’unica cosa che sapevo è che la vita che stavo facendo non era la mia, avevo bisogno di cercarne un’altra, e avevo bisogno di cercarla da un’altra parte perché intorno a me la cultura dominante (=autentica del luogo?) era basata su valori che non mi rappresentano (soldi, lavoro, consumo etc). Ora, fuggire dai soldi e dal lavoro è stato molto facile, ma la società del consumo è globale, quindi ti ci ritrovi sempre. Il turismo è la riduzione del viaggio al consumo? Allora cerco di viaggiare innanzitutto più lentamente, come dice Ilaria, e poi di viaggiare con l’obiettivo di fare esperienze anti-consumistiche - ora sto appunto insegnando ai bambini, cosa che in Italia peraltro non avrei mai potuto fare. Quindi sì penso di poter dire che per me il viaggio è più un mezzo che un fine, ma è un equilibrio molto complicato. Grazie delle riflessioni!
Molto interessante questa analisi. Per me da un po’ di tempo a questa parte, l’unico viaggio possibile è quello lento