Dovunque tu sia, si chiama Qui
Vita da Nomade #10 / È possibile mettere il proprio viaggio al servizio del proprio pubblico senza rinunciare a sé stessi?
Ciao,
in questo numero racconto di come sono passato da aspirante travel blogger a (bacucco?) scrittore di newsletter. Nel mezzo, alcune abitudini che mi porto dietro fin da bambino, la sensazione di perdersi e le conseguenze del condividere i propri viaggi sui social network. Inoltre, un racconto di viaggio dalla Colombia, un recap delle mie attuali spese e di quando tornerò a viaggiare.
Per chi è nuovo, mi chiamo Vincenzo Rizza e da tre anni vivo come nomade. Nell'ultimo anno ho attraversato il Sud America senza prendere aerei e ora sono tornato in Europa per lavorare e proseguire le mie avventure. Ogni mese, racconto come sta andando, andando oltre le semplici cartoline. Mi trovi anche su Instagram.
Buona lettura!
A Testament to Spontaneity
social network · perdersi
"Con tutte le foto che fai, come mai non spopoli sui social?" mi chiede un amico mentre torniamo a casa dal mare. Verrebbe da rispondere che le foto non sono abbastanza interessanti, ma sarebbe una risposta semplicistica e non se la berrebbe così facilmente. Così prendo un respiro profondo…
Anni fa, la mia passione per i viaggi è nata dai film, dai libri e dagli youtuber. In famiglia non eravamo certo viaggiatori e, in generale, non lo siamo noi italiani. Se dovessi andare all’origine dei miei ricordi, mi torna in mente quando da bambino vagavo a zig-zag tra le file dei supermercati cercando di evitare le corsie preimposte, quelle che percorrevano i miei con il carrello della spesa. Si trattava di una primissima forma di emancipazione, una ricerca di libertà primordiale. Perché lo facevo? È forse una ricerca che ci riguarda tutti?
Di sicuro i miei genitori pensavano che prima o poi mi avrebbero rubato.
Da ragazzo, alimentavo i miei sogni guardando video di viaggiatori solitari con la GoPro e leggendo libri di chi aveva compiuto imprese eccezionali. Immaginavo, pieno di vertigini, che un giorno ci sarei stato io dall’altra parte dello schermo. Certo, così facendo ero finito per convincermi che quello fosse l’unico modo per viaggiare, ma era pur sempre una fonte d’ispirazione. Avevo anche comprato una GoPro.
Poi ho iniziato a viaggiare per davvero, con lo zaino sulle spalle, e pian piano ho iniziato a emanciparmi dai racconti che mi avevano ispirato. Avevano svolto il loro ruolo, ma rischiavano di diventare una limitazione. Il rischio era rimanere incastrato nei loro schemi, o peggio, di seguire le orme di qualcun altro.
I racconti hanno sicuramente un ruolo importante: ispirano, toccano corde profonde e romantiche, ma rimangono pur sempre degli artefatti della vita.
Qualche tempo fa, mi sono imbattuto in un reel di un creator chiamato alexanderjamestravel, che mostrava le sue avventure nell’oasi di Huacachina, in Perù. Scene cinematografiche di auto scassate tra le dune di sabbia, frasi come "we are in the middle of nowhere" o “it’s a city you feel disconnected from the world”. Il tutto condito da un gruppo di amici che urlano alla telecamera coi capelli al vento, si abbracciano e si lanciano giù per le dune con una tavola da sandboard. Il video esteso, su YouTube, si chiama “Flying to Peru with absolutely no plan | A Testament to Spontaneity”. Ha 600 mila visualizzazioni e una marea di commenti da persone colpite dalle sue avventure e affascinate dalla libertà che sembra incarnare.
Eppure, Huacachina, che in lingua Quechua si chiamava “laguna nascosta” (wakachina qucha), è oggi un lago artificiale a soli 4 km dalla moderna città di Ica, che conta 282 mila abitanti.
Non si tratta solo di decretare la veridicità di questi contenuti, ma soprattutto di comprendere il ruolo che essi assumono per il narratore e per gli spettatori. Romanzare un viaggio serve a renderlo fruibile, ma dov’è il limite tra il racconto di viaggio e la finzione?
Quando è che il viaggiatore inizia a trasformarsi in un attore?
Sapere di stare guardando un film fa la differenza.
Ripensando alla domanda del mio amico, mi rendo conto di aver scelto di proteggere il mio stile di vita dalle dinamiche dei social. Forse per mancanza di bravura o di carattere, o magari per una questione di principio. Nel mio profilo Instagram non pubblico reel e non lascio commenti alle pagine di profili simili al mio, come suggeriscono le strategie di marketing. È una scelta che ho ponderato.
Lo stai scrivendo in una newsletter, direte voi, ma di certo scegliere di scrivere una mail mensile, lunga e piena di "forse", è bel lontano dal riprendersi mentre si sfreccia lungo le dune del deserto.
È successo, nel mio percorso, di aver incontrato quelli che potrei definire “viaggiatori invisibili”. Sono persone molto diverse tra loro, che non creano contenuti video e che non hanno una newsletter, ma che in un modo o nell’altro, sono tutti riusciti a partire. Rappresentano la maggior parte dei viaggiatori e magari li abbiamo pure incrociati nelle nostre città al supermercato.
Tra loro c’è il ragazzino che, subito dopo la scuola, ha preso il brevetto da istruttore di windsurf, vivendo sulle coste di mezzo mondo da un anno e mezzo. C’è la signora settantenne, che dopo essere rimasta vedova, ha usato i risparmi della pensione per realizzare il sogno di una vita. Poi c’è chi si è reinventato rivendendo online oggetti raccolti nei mercatini durante il viaggio, e chi, come quella ragazza, prima di iscriversi alla specializzazione, ha scelto di dedicarsi a progetti di volontariato stagionali nelle fattorie. E poi, c’è la coppia che si muove da vent’anni, da paese a paese gestendo ostelli, e come loro tanti altri.
Incontrare questi “viaggiatori invisibili" mi ha fatto capire che ognuno percorre una strada unica verso la propria libertà e che, alla fine, non bisogna perdere di vista l’obiettivo profondo per cui ci si era messi in cammino.
Quello che serve è trovare l’immaginazione di inventarsi la propria strada. Fare zigzag tra le corsie dei supermercati.
Riguardo quelli come alexanderjamestravel, anche loro li ho incontrati. La sera, mentre gli altri in ostello si stappano una birra prima di andare a dormire, iniziano a lavorare sui loro MacBook, andando avanti fino a tarda notte. Li rispetto, perché hanno scelto di mettere il proprio viaggio al servizio del proprio pubblico, di raccontarlo, documentarlo, renderlo fruibile agli altri. Ma a che prezzo?
Diventare un attore del proprio viaggio è un ruolo che non si interrompe quando spegni la telecamera. Personalmente, non ce la farei.
Sarò un Millennial bacucco, ma fare il content creator è quasi sempre un lavoro alienante, governato da algoritmi che decidono cosa premiare. Si paga a cottimo, per contenuti e like. Sono vicino a chi lo fa di mestiere, ma anche a chi è costretto a farlo: artisti, musicisti, tatuatori. Alcuni riescono anche a rimanere fedeli a sé stessi e li ammiro per questo.
Diciamolo, però, che non c’è frase più tremenda di chi si sente in dovere di dire "scusate l'assenza" dopo due giorni senza postare. Sembrerà esagerato, ma non sarebbe meglio chiamarle micro-televisioni, invece di social network? Se solo le chiamassimo così, potremmo far tendere il ruolo dei creator a quello degli attori e le storie alla fiction. Non avremmo bisogno di travestire tutto da condivisione autentica e sarebbe liberatorio un po’ per tutti.
Ecco: per me, viaggiare è soprattutto perdersi.
Perdersi, geograficamente sì, ma soprattutto dentro sé stessi.
Un attore, d’altro canto, si può anch’esso perdere ma in direzione opposta, indagando dentro un personaggio, da cui è costretto poi a ritornare per non trasformarsi nella sua maschera.
D’altronde, non si scopre mai niente di nuovo senza lasciare il porto sicuro alle proprie spalle. Perdersi non è programmabile, non è inscatolabile in un piano editoriale, ed è così per definizione. È un’esperienza graffiante, non di certo instagrammabile.
Si dice che, per essere sicuri di trovarsi lungo il proprio percorso, si debba accettare di perderlo di vista, perché esserci dentro vuol dire non poterlo vedere. La sensazione che ne deriva è quella di sentirsi disorientati e quindi persi, proprio mentre si è là dove si dovrebbe essere.
C'è un pezzo di un’antica poesia che pare sia stata tramandata dai nativi americani e che dice:
La foresta sa dove sei.
Lasciati trovare.
Ma come fai a perderti se hai 600 mila persone che ti seguono?
***
Se ti piace quello che scrivo, puoi aiutarmi lasciando un cuoricino ❤️ o un commento. Questo mi aiuterà a raggiungere altre persone e mi farà sentire di non scrivere sproloqui da solo nella mia camera d’ostello. Fallo adesso, se ti va!
Fortuna e sfortuna
racconti · zaini persi
Mi ritrovai ancora una volta su un autobus scassato, con due ore di ritardo e la quasi certezza di perdere la coincidenza successiva.
Il mio piano era quello di raggiungere il Deserto di Tatacoa, e per farlo ero partito al mattino da Bogotà in direzione di Neiva, con la speranza di arrivare in tempo per prendere un altro autobus verso Villavieja.
Erano meno di 300 chilometri, che in un paese normale avrei percorso in poche ore, ma nella Colombia imprevedibile, lenta e disordinata in cui stavo viaggiando, si trasformavano in un'avventura piena di incertezze e suspense. Mi chiedevo a che ora sarebbe arrivato l'autobus e se ci sarebbero davvero stati altri autobus per raggiungere la destinazione finale e, una volta scoperto, se avrei trovato un posto in ostello dove dormire.
L'autobus mi scaricò alla solita stazione fatiscente, poco illuminata e con insegne al neon dai colori improbabili, i cartelli delle varie compagnie di trasporto dai nomi quasi tutti uguali. Scesi di corsa e mi precipitai verso le biglietterie, chiedendo al primo impiegato quale compagnia fornisse il trasporto per la mia destinazione finale. Mi mandò dall'altra parte della hall e riuscii appena in tempo a farmi stampare un biglietto per un autobus che sarebbe partito in 7 minuti. Tirai un sospiro di sollievo, ma proprio mentre mi dirigevo verso il terminal, mi resi conto di sentirmi fin troppo leggero: avevo dimenticato lo zaino nel bus precedente, dannazione!
Corsi con tutta l'energia che avevo in corpo verso la fermata degli arrivi, consapevole di averla combinata grossa. L'autobus aveva ovviamente già lasciato la stazione, diretto chissà dove, e io mi ritrovavo in un parcheggio buio con un biglietto in mano e un bus che partiva in pochi minuti.
Succede di ritrovarsi in situazioni rocambolesche, in cima a un precipizio, e lì sotto un pavimento di detriti appuntiti fatto della somma di tutti i nostri piccoli errori. E di osservare, in preda alle vertigini, un detrito più appuntito degli altri: l’ultimo, ennesimo, errore commesso. Ci chiediamo il motivo per cui ciò accade proprio a noi e proprio in quel momento. Ci tormentiamo con il pensiero di cosa avremmo potuto fare per cambiare il corso degli eventi. Ci sentiamo colpevoli, sporchi, inadeguati, sbagliati e ci sentiamo inermi.
In momenti come questi, un buon esercizio è prendere un profondo respiro e concentrarsi sull'orizzonte, invece di fissare i detriti. E, in qualche modo, scopriamo che anche questi momenti passeranno, proprio come passano i momenti più insignificanti o quelli di maggior splendore. È come se la vita ci mostrasse le carte senza pregiudizi, senza la semantica che aggiungiamo noi stessi con la nostra mente.
Da quando avevo iniziato a viaggiare da solo, mi ero spesso interrogato sul concetto di fortuna e sfortuna, e avevo inavvertitamente iniziato a trattarli allo stesso modo. Avevo intrapreso un personale gioco di prospettive in cui allargavo il campo e ogni evento diventava semplicemente un nuovo incrocio della vita, dove la curiosità diventava predominante. Ero diventato curioso di scoprire dove certi eventi mi avrebbero portato e come li avrei giudicati, senza impormi giudizi precostituiti.
Tirai un lungo sospiro e decisi di risolvere la situazione.
Trovai il numero della compagnia sul biglietto che avevo ancora in tasca, ma il servizio clienti non era raggiungibile a quell'ora. Tornai nella hall e tentai di fermare due agenti di polizia, ma mi dissero che non potevano aiutarmi. Alla fine, trovai il banco della compagnia di trasporti che stava serrando la saracinesca, mi infilai col busto dentro la cabina e implorai la signorina di aiutarmi in qualche modo. Lei non si scompose, prese il mio biglietto, alzò la cornetta e si mise in contatto con l'autista: «Prendi l'uscita di fronte, salta la sbarra per i bus, attraversa l'incrocio e l'autista ti aspetterà lì. Corri!».
Mi ritrovai nel bel mezzo di una strada statale buia, nella periferia di Neiva, con i taxi che si fermavano per offrirmi un passaggio e decine di autobus che mi sfrecciavano accanto. Vidi lì avanti un autobus con le frecce segnaletiche accese e il bagagliaio aperto. Riconobbi l'autista, che teneva in mano il mio zaino. Lo raggiunsi a fatica, ringraziandolo e scusandomi cento volte. Mi sorrise e ripartì con calma.
Ecco la Colombia che stavo maledicendo pochi minuti fa, imprevedibile, lenta e disordinata, dove prendere una coincidenza è difficilissimo, ma se dimentichi lo zaino, il conducente torna indietro per riportartelo. In mezzo alla strada, sudato e con lo zaino poggiato ai miei piedi, guardai il biglietto del bus che avevo in mano, poi guardai l’orologio e allargando la prospettiva mi feci una grossa risata: avevo perso il bus per Villavieja.
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Il racconto che hai appena letto fa parte di una storia più lunga, ispirata da esperienze reali vissute durante il mio viaggio. L'errore dello zaino e quel bus perso, per esempio, avranno conseguenze cruciali nel proseguire del mio viaggio.
Oltre a questo racconto, ho una vasta raccolta di appunti e bozze che ancora aspettano di prendere forma, ma che non sono adatti per questa newsletter. Se hai suggerimenti, consigli, o conosci qualcuno che potrebbe essere interessato a sviluppare questi spunti in un progetto più ampio, scrivimi in privato o lascia un commento. Potresti aiutarmi a dare vita a un nuovo progetto 💌
In Sicilia
dove sono · aggiornamenti
Ad agosto ho preso un volo da Pisa a Siracusa, la mia città natale, dove sono stato ospite a casa dei miei. Ho poi fatto una piccola gita in Campania in occasione del matrimonio di un amico.
La mia idea è quella di prendermi un po' di tempo per trovare nuovi progetti di lavoro e poi, una volta pianificati, spostarmi in un contesto stimolante in cui potermi fermare per un po'. Sto considerando luoghi che conosco già, come le Canarie o il Portogallo, oppure qualche località nuova nell'Est Europa. Da valutare...
L'aiuto dei miei, che mi hanno offerto piena disponibilità, è enormemente apprezzato. Tuttavia, vivendo all'estero e spostandomi tra ostelli, non è sempre scontato ritrovarsi bene nei ritmi familiari. Sto comunque riscoprendo la mia città e facendo pace con lei. È un percorso che ho iniziato qualche anno fa e che continua tutt'ora.
Dal punto di vista lavorativo, l'estate in Italia è un periodo di stallo, e quindi mi sono dedicato a progetti personali. Ho ridisegnato il mio sito web, migrandolo da una piattaforma a pagamento ad una gratuita. Ho fatto un grosso lavoro di revisione di tutte le foto dell'ultimo anno di viaggio, pubblicando infine le migliori nel mio portfolio fotografico. Ho ripulito il mio Mac e annullato una serie di abbonamenti, ottimizzando spazi e costi. Questi lavori, oltre a prepararmi per i progetti futuri, mi hanno permesso di ridurre alcune spese fisse, risparmiando qualche centinaio di euro l'anno. Non male!
++ 📢 CONSULENZE DI DESIGN E PRODOTTO 📢 ++
Ebbene sì, nonostante racconti di avventure e sproloqui mentali, non vivo di soli viaggi. Di giorno scrivo newsletter, di notte faccio il freelance Product & UX/UI Designer (o forse il contrario). Ho fondato una startup che è andata abbastanza bene, ho supportato scale-up di rilievo e fatto da mentor per decine di startup.
Se conosci qualcuno che può aver bisogno di consulente in ambito UX/UI Design, sentiamoci!
Ecco il link al mio sito: www.vincenzorizza.com, e al mio profilo LinkedIn.
Contabilità
finanza • trasparenza
Rieccoci a parlare di soldi, soldi, soldi.
Come detto sopra, ad agosto ho vissuto tra Pisa e Siracusa, ospite da amici e dai miei. Ho quindi anche stavolta scroccato l’affitto, ma ho avuto anche una serie di spese extra.
La spesa totale del mese di agosto è stata di €1.215,89, di cui la metà tra shopping e regali e poi circa un quarto tra trasporti e ristoranti. In particolare ho dovuto affrontare la spesa del cambio della batteria del mio Mac, la sostituzione dello zainetto ultralight che usavo ormai da tre anni e l’acquisto di alcuni prodotti elettronici che nell’ultimo anno si erano deteriorati.
Per dare un’idea, ad oggi, nel 2024:
Spese totale: €9.142,39
Spesa media mensile: €1.142,90/mese
Mese più costoso: €1700 - a giugno, tra Buenos Aires e Italia, in cui ha inciso circa 500€ del costo del volo.
Mese più economico: €752,90 - a marzo, attraversando l’Argentina dal nord fino alla Patagonia.
Nel mio stile di vita da nomade cerco di vivere con un budget massimo di €1.500 al mese, una media che ho dimostrato di poter sostenere bilanciando viaggi, periodi di vita in paesi più o meno economici e un po’ di volontariato. In generale, facendo uno stile di vita pieno ma senza eccessi.
La filosofia che ho adottato è quella di mantenere sempre lo stesso stile di vita minimalista, indipendentemente dalle situazioni o dai lavori che ottengo. Per intenderci, se trovo un progetto ben pagato, non andrò ad affittarmi il monolocale col balcone sulla piscina, oppure, se risparmio sul costo dell’affitto, non vado poi a spendere in ristoranti. Tutto ciò che risparmio e tutto ciò che guadagno in più, va a contribuire per i costi dei miei viaggi futuri.
Per approfondire, vi lascio il link all’articolo del mese dedicato. Ho anche fatto un approfondimento sulle spese fisse che sostengo che potrebbe interessarvi.
☞ Leggi il report di Agosto
Un po’ di link
🖋️ La poesia che ho citato nel pezzo principale si chiama “Lost (in the forest)” ed è stata pubblicata da David Wagoner nel 1978 come traduzione di un’antica poesia della tradizione dei nativi americani. Dà anche il titolo a questa newsletter.
☞ Leggi la poesia "Lost (in the forest)", con traduzione in italiano
📹 Alexanderjamestravel è Alex Rogers, e al netto dei miei dubbi sulla veridicità dei suoi contenuti, il suo talento come videomaker è indiscutibile.
☞ Fatti ispirare dai video cinematici di Alex
📷 A Ciudad Bolívar, essere giovane può essere un atto di coraggio. Il fotografo Pablo Miranzo, con il suo reportage "Ser joven en Ciudad Bolívar", documenta la vita dei ragazzi che crescono in uno dei quartieri più pericolosi di Bogotá, dove ogni giorno affrontano il rischio di essere vittime della violenza. Un racconto visivo che parla di ingiustizia e speranza.
☞ Scopri il reportage completo di Pablo Miranzo
Dopo il pippone, vieni a chiederci i like?
Pfiuuu, che numero denso!
Ogni volta che sono pronto a premere "Invia", mi prende la sensazione di aver scritto un mucchio di scemenze. Poi però penso alle vostre risposte, ai commenti, e a quelle lunghe email in cui condividete punti di vista, dubbi e speranze. Con alcuni di voi sono riuscito persino a organizzare delle call per conoscerci meglio, e questo mi emoziona sempre.
Se ti va di continuare a scambiare idee, lasciami un commento 💬 o anche solo un cuore ❤️ per farmi sentire il tuo supporto. Grazie, davvero, al di là dei "numerini" che lasciamo ai creator.
Ah, se questo è il primo numero che leggi, scrivimi. Ci tengo.
Grazie mille e ci sentiamo il prossimo mese!
Mi è piaciuta tanto la tua riflessione, soprattutto i toni con cui l’hai espressa: morbidezza e assenza di giudizio. E mi ha fatto sorridere l’aggettivo “bacucco” associato ad un millennial. Stride, lo si sente per lo più da quelli della genX (la sottoscritta) ed è questo il bello. Dà ancor più rotondità all’insieme.
Ma che bella puntata!! Pure io quando vado a un festival letterario mi perdo tra i libri e gli incontri e mi dimentico completamente che ho una pagina su Instagram e si suppone che dovrei fare foto, video, selfie ecc ecc, ma poi così mi perdo la bellezza dell'essere lì, con tutta me stessa e la mia attenzione. Non ha senso vivere attraverso uno schermo e nutrirsi di like. Certo, non saremo mai "popolari", "virali" ecc ecc, ma siamo autentici. Ognuno deve stare sui social a modo proprio, non sono i social a decidere chi siamo e se meritiamo o no l'approvazione degli altri.